Sai cosa significa la parola PROSIT pronunziata dopo la messa dai ministranti?
La parola PROSIT che ogni ministrante rivolge al sacerdote in sacrestia, al termine della Messa, è una parola latina, precisamente la 3^ persona singolare del congiuntivo di 'prosum'. Questa parola significa "che ti giovi", "che ti sia di vantaggio". Quindi è un augurio che i ministranti fanno al sacerdote alla fine della Messa.
Quest'ultimo risponde "Deo gratias et vobis" o più comunemente "Vobis quoque", ricambiando l'augurio.
Chierichetti o ministranti ?
Spesso ci si domanda quale possa essere la differenza fra ministranti di oggi e i chierichetti di una volta. Ma, per spiegare ciò e per far capire che i ministranti non sono solo una versione aggiornata dei chierichetti, è bene fare un salto indietro nel tempo.
La figura del ministrante nasce intorno al 1800 nelle cosiddette “Messe private”, in cui, per supplire alla mancanza di ministri istituiti, veniva riconosciuto a dei ragazzi questo ministero.
Fino al Concilio Vaticano II (1962-1965), chi svolgeva questo servizio era definito “chierichetto”, ovvero piccolo chierico. Il termine chierichetto deriva dal latino clericus, forma aggettivale di clerus, indicante chi appartiene all’ordine sacerdotale.
Nacque così il termine chierichetto, dal momento che chiunque svolgesse un ministero nell’ambito liturgico doveva essere un prete, o almeno vestirsi come tale.
Difatti la “divisa” del chierichetto era composta da talare nera e cotta, propri del presbitero.
Ma il Concilio Vaticano II riformò profondamente la figura del chierichetto, ridefinendolo Ministrante, per sottolineare che non è un piccolo prete, ma un laico che, come gli altri cristiani, svolge nella Chiesa un servizio a cui è chiamato da Dio. Dal latino ministrans (colui che serve),il termine ministrante indica quel ragazzo/a che, per amore, si pone al servizio di Dio e della Chiesa, specialmente nelle celebrazioni liturgiche. Ma il Concilio, oltre che a sostituire la talare con il camice o alba(bianco), ha stabilito, nell’art. 29 della Sacrosanctum Concilium (costituzione conciliare sulla liturgia), che i ministranti, nello svolgere il loro ministero liturgico, siano preparati e consci di ciò che fanno, e siano espressione della molteplicità di ministeri attraverso i quali la Chiesa manifesta il suo essere serva.
Al giorno d’oggi, i ministranti sono una realtà affermata e diffusa, non solo a livello parrocchiale, ma anche diocesano ed internazionale.
Papa Benedetto, ma anche i suoi predecessori, hanno più volte sottolineato l’importanza di coloro che svolgono questo ufficio, definiti dai Sommi Pontefici stessi ministranti e non chierichetti. Anche i libri liturgici (Messale Romano), così come i documenti conciliari (Sacramentum Concilium n°29) e le istruzioni della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti (Redemptionis Sacramentum n° 47), parlano dei ministranti e non dei chierichetti. Detto questo, sorge spontaneo chiedersi come si possa ancora parlare dei chierichetti! Ma purtroppo, oggi, sono diverse le realtà ecclesiali che non sanno (o fanno finta di non sapere) la differenza fra le due cose. Autori di libri, insegnanti, teologi, religiosi, sacerdoti, vescovi e perfino cardinali usano ancora il termine chierichetto, come se il Concilio non avesse detto nulla. Ma la questione non si può ridurre ad uno uso scorretto di termini, in quanto, anche se non volontariamente, l’usare il termine chierichetto significa, di fatto, non considerare la riflessione conciliare in merito al ruolo dei laici nella liturgia, ai ministeri di fatto, alla corresponsabilità dei laici nella guida e nella vita della Chiesa. Usare un termine nuovo significa indicare una realtà tradizionale ma nuova al tempo stesso, una realtà che affonda le sue radici in un passato che non dimentica, ma che vuole essere chiamata per quello che è e per ciò che rappresenta.
Fonte: Devoti Spingitori